Nel 1845 un “morbo epidemico” comparve in Provenza, colpendo gli allevamenti bachicoli europei e rischiando di portare al collasso, nel successivo ventennio, l’industria serica.
In questo clima di profonde incertezze si dovette ricorrere all’importazione di seme-bachi giapponese e contemporaneamente la ricerca si attivò per determinare l’origine dell’epidemia e un metodo di prevenzione che riuscisse a contenerla.
Grazie all’intervento di numerosi esperti e di figure di spicco, primo fra tutti Pasteur, si riuscì a stabilire un metodo che garantisse una produzione di seme-bachi privo d’infezioni. Fu a quel punto che, seguendo l’esempio della fondazione dell’Istituto bacologico di Gorizia (1869), venne istituita con regio decreto del 1871 la Reale Stazione Bacologica Sperimentale di Padova. La scelta di Padova come ubicazione non fu affatto casuale e, riprendendo un commento dell’allora ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio, Luigi Luzzatti possiamo capirne il motivo:
“Siccome, poi, codesta città di Padova è uno dei centri principali dell’industria serica, ho reputato dover fermare sopra la medesima e i miei sguardi e di segnarla a sede del progettato Istituto”.
Il regolamento della neonata stazione bacologica fu redatto su modello di quella goriziana, in particolare l’art.I del regio decreto fissava gli obiettivi da perseguire, tra i quali: confezionare il seme-bachi anche per conto dei privati, sperimentare nuovi incroci e nuove tecniche di allevamento, diffondere tramite scritti e conferenze le ricerche effettuate.
Enrico Verson, già direttore aggiunto dell’istituto bacologico di Gorizia, iniziò le ricerche per trovare uno stabile adatto allo scopo e lo reperì nel borgo di S.Croce, dove nel 1872 assume il comando della stazione bacologica di Padova, diventandone il primo Direttore.
Nel successivo decennio scopo principale della stazione fu di limitare l’importazione di seme bachi giapponese, provvedendo alla confezione e all’esame delle uova prodotte in Italia per conto dei propri clienti. In seguito Verson promosse fortemente le attività didattiche con lo scopo di formare figure dirigenziali e allevatori esperti che potessero divulgare le nuove tecniche sericole su tutto il territorio italiano. Verson si ritirò nel 1919 con la carica di direttore emerito, poco prima che l’espansione urbana di Padova spingesse al trasferimento della stazione in altra sede, che fu individuata a Brusegana, dove nel maggio del 1923 venne posata la prima pietra.
Il nuovo complesso era costituito da due edifici, uno dedicato allo studio e alla ricerca bacologica ed un secondo dedicato alle attività di produzione sperimentale di allevamento e filatura. Luciano Pigorini, assistente di Verson dal 1914, inaugurò come direttore la nuova struttura nel 1924, restando in carica fino al 1953, anno in cui dovette abbandonare per sopraggiunti limiti di età.
La bachicoltura nel frattempo era stata fortemente penalizzata dalle due guerre mondiali e il conseguente boom economico, paradossalmente, infliggerà un duro colpo alla produzione di bozzolo italiano; inoltre il perfezionamento delle tecniche produttive di fibre artificiali e lo sviluppo di razze ad alta produttività in Giappone misero in difficoltà tutta la filiera serica.
Con la chiusura della stazione bacologica di Ascoli Piceno, istituita nel 1920 e diventata nel ’58 stazione agraria, la direttrice Porzia Lorenza Lombardi fu definitivamente trasferita a Padova, dopo diversi anni di direzione “a distanza” della stazione patavina. Lombardi iniziò subito un profondo lavoro di riordino e ripristino del gelseto e dei laboratori, portando in dote tutto ciò che era presente nella stazione di Ascoli Piceno, andando quindi ad arricchire la già consistente collezione serica padovana. Nel 1969 diventò direttore Glauco Reali e vi rimarrà fino al 1989 per sopraggiunti limiti di età. Dopo tre anni, Luciano Cappellozza diventa il nuovo e ultimo direttore della stazione.
Nel periodo in cui egli resse, l’Istituzione dovette affrontare un grave fenomeno che colpì gran parte degli allevamenti del Nord Italia; la sindrome da mancata filatura del baco da seta.
Capire l’origine di questo fenomeno non fu affatto banale e fu solo grazie al profondo lavoro di ricerca della stazione bacologica padovana e dell’Università di Torino che si riuscì ad individuarne la causa in un principio attivo, il fenoxycarb, contenuto all’interno di un pesticida distribuito sui frutteti e che per deriva arrivava sulle foglie del gelso con cui si nutrono i bachi da seta. Seguirono anni di battaglie, con l’Istituto sempre in prima linea per vietare l’uso di questo terribile pesticida; quando il tanto auspicato divieto arrivò, ormai la bachicoltura era distrutta e gli ultimi bachicoltori italiani, concentrati nel Veneto, avevano desistito dal continuare l’attività. La Stazione si rivolse allora alla sperimentazione di un mangime sostitutivo della foglia di gelso, allo scopo di sviluppare la ricerca nel settore biomedico che richiedeva la seta come biomateriale con standard produttivi molto rigidi e controllati. La ricerca si svolse positivamente portando al brevetto di una dieta “artificiale”, che poteva completamente sostituire la foglia di gelso (2004).
Ma nuove nubi si presentavano all’orizzonte per la direzione. Lo stabile che ospitava la Stazione, in pessime condizioni, necessitava di un’opera di restauro che il Ministero non era in grado di operare per la mancanza di fondi. Fu grande intuizione del Direttore il coordinare diversi attori (Provincia di Padova, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Ministero delle Politiche Agricole, Ministero dell’Ambiente, Butterflyarc s.r.l.) nella realizzazione di un progetto di restauro che comprendesse uno stabile dedicato alla ricerca e alla conservazione delle collezioni (posizionato nell’ex-“bigattiera”) e un edificio dedicato all’esposizione museale e al trasferimento scientifico (Museo Esapolis).
La Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo prese molto a cuore il progetto, decidendo di sostenere gran parte dei costi di realizzazione. Grazie allo sfruttamento di appositi bandi pubblici del Ministero dell’Ambiente, la sede di Padova dell’Unità di ricerca di Apicoltura e Bachicoltura di Bologna, nuovo nome dell’Istituzione, fu dotata di impianto fotovoltaico e geotermico e cisterna per la raccolta dell’acqua piovana.
Nel 2006 l’attività di ricerca fu trasferita nel nuovo stabile e nel 2008 Luciano Cappellozza andò in pensione, con il conseguente trasferimento della direzione a Bologna. Dopo un breve intervallo subentrò, come responsabile della sede, la figlia Silvia Cappellozza, che aveva lavorato con il padre dall’inizio degli anni ’90, sviluppando ancora maggiormente le ricerche sulle biotecnologie applicate alla bachicoltura, concretizzando il secondo brevetto sull’allevamento “germfree” con mangime sostitutivo della foglia di gelso e iniziando la fondazione di una piattaforma tecnologica per la modificazione genetica del baco da seta. Inoltre, sono stati accentuati tutti gli aspetti di trasferimento dell’innovazione al tessuto economico-produttivo nazionale e internazionale, con il conseguimento di alcuni importanti finanziamenti italiani ed europei.
Negli ultimi anni la sede di Padova si trova di nuovo a dover fronteggiare il rischio della chiusura. Un’ipotesi che, se divenisse realtà, spazzerebbe via un patrimonio di conoscenze che si è accumulato in oltre centocinquanta anni di storia, un sapere che è un vanto per la nostra Nazione e che dovrebbe essere salvaguardato e rispettato per quello ha significato ma soprattutto per quello che può significare alla luce del rinnovato interesse verso il settore serico.
CREA-API Unità di Ricerca per l’Apicoltura e la Bachicoltura ha recentemente cambiato la sua denominazione in:
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